Giovanni Brusca torna libero dopo 29 anni di condanne

Finita la sorveglianza, nessun debito con la giustizia

Giovanni Brusca è un uomo libero. Il boss mafioso che nel 1992 azionò il telecomando dell’esplosivo a Capaci uccidendo Giovanni Falcone, Francesca Morvillo e gli agenti Antonio Montinaro, Vito Schifani e Rocco Dicillo, ha concluso la misura della libertà vigilata il 31 maggio. Dal primo giugno, secondo quanto si apprende da ambienti giudiziari, non è più sottoposto ad alcuna restrizione. Dopo 25 anni di detenzione e quattro ulteriori anni sotto sorveglianza, non ha più pendenze con la giustizia italiana.

La scarcerazione e la fine della misura di sicurezza sono il frutto di un percorso previsto dalla legge per i collaboratori di giustizia. Brusca, arrestato nel 1996, ha iniziato a collaborare poco dopo con le autorità fornendo informazioni decisive nella lotta a Cosa Nostra. Il suo contributo ha portato all’arresto di numerosi mafiosi e al sequestro di ingenti patrimoni illeciti. Tuttavia, il suo nome resta indissolubilmente legato a episodi criminali tra i più efferati della storia recente del Paese.

L’indignazione per il suo ritorno alla libertà è stata espressa da Tina Montinaro, vedova del caposcorta di Falcone. “Siamo profondamente amareggiati, sembra che non sia mai accaduto nulla,” ha affermato, parlando a nome delle famiglie delle vittime. La donna, che guida l’associazione Quarto Savona Quindici – dal nome della macchina di scorta saltata in aria il 23 maggio 1992 – ha ribadito come, pur nel rispetto della legge, il dolore non sia sanabile: “Anche i collaboratori di giustizia restano dei criminali. Non diventano persone per bene. In questo modo non ci sentiamo rispettati.”

A 33 anni dalla strage di Capaci, le ferite rimangono aperte. Tina Montinaro denuncia una mancata risposta collettiva e istituzionale e chiede una presa di posizione forte da parte della società civile. “Mi aspetto che Palermo reagisca, che i cittadini scendano in piazza. Non è una questione solo nostra. Riguarda tutti.” Il riferimento è anche alle polemiche nate in occasione del recente anniversario della strage, quando il minuto di silenzio sarebbe stato osservato in anticipo rispetto al momento esatto dell’attentato.

Giovanni Brusca

Per la vedova di Montinaro, la liberazione di Brusca rappresenta una battuta d’arresto nella ricerca di giustizia: “I processi sono ancora in corso e la verità completa non è stata ancora scritta. Non si può parlare di rispetto per lo Stato se poi si arriva a simili conclusioni.” La donna ha anche ricordato il percorso intrapreso dopo la tragedia, culminato con la pubblicazione di un libro due anni fa, dedicato alla memoria del marito e alla battaglia contro la mafia. “Non ci avete fatto niente” è il titolo dell’opera, un’affermazione che racchiude il tentativo di riscatto di chi ha perso tutto ma ha scelto di reagire.

Anche Maria Falcone, sorella del magistrato assassinato, ha espresso profondo dolore per la liberazione del boss. “Come cittadina e come sorella, non posso nascondere l’amarezza. Ma come donna delle Istituzioni, devo ricordare che questa è la legge.” Falcone ha sottolineato come la normativa sui collaboratori di giustizia sia stata voluta dallo stesso Giovanni Falcone e abbia consentito negli anni successivi colpi duri a Cosa Nostra. Tuttavia, ha anche evidenziato che la collaborazione di Brusca non ha chiarito ogni aspetto, specialmente in merito al patrimonio accumulato. “La magistratura ha il dovere di continuare a indagare. Colpire economicamente la mafia resta la via più efficace.”

Il nome di Giovanni Brusca evoca anche un altro crimine atroce: il rapimento e l’assassinio del piccolo Giuseppe Di Matteo, figlio del pentito Santino, ucciso dopo oltre due anni di prigionia e il cui corpo fu sciolto nell’acido. Maria Falcone ha ricordato questo episodio con parole dure: “Non ci sono espressioni adeguate per descrivere l’orrore. Il dolore resta enorme.” La sorella del magistrato ucciso ha però voluto ribadire il ruolo fondamentale della legge: “La democrazia si fonda sul rispetto delle regole, anche quando è doloroso farlo.”

Il percorso giudiziario di Brusca si chiude nel pieno rispetto delle norme italiane. Ma resta acceso il dibattito sul significato profondo della giustizia e sul valore della memoria. Per i familiari delle vittime, la scarcerazione del mandante della strage di Capaci rappresenta una ferita difficile da rimarginare. Per altri, è la dimostrazione di uno Stato che riesce a piegare la mafia utilizzando anche le sue stesse dinamiche. La storia giudiziaria di Giovanni Brusca finisce qui. Ma il dolore e le domande, per molti, restano.

By Morena Zingales

Giornalista professionista

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