Siracusa, “Giustizia per Stefano Biondo”, la sorella Rossana ci parla di Lui

di Rossana La Monica
SIRACUSA – Il 25 gennaio 2011 esattamente tre anni fa la morte ingiusta del mio fratellino Stefano Biondo. Oggi tutta la Famiglia e L’Associazione Astrea in sua memoria lo ricorderà con una raccolta Alimentare in favore delle persone bisognose… perché chi ha bisogno non va mai lasciato solo! Chi vi scrive è Rossana La Monica, sorella e tutrice di Stefano Biondo.

C’è una sorella, una famiglia, l’associazione Astrea (dal nome della figura mitologica della giustizia) in memoria di Stefano Biondo, una comunità, che spera che venga fatta giustizia, e dal quel fatidico 25 gennaio 2011, tre anni oggi, combatte, convivendo con l’amaro rimpianto legato ad una perdita irrimediabile. Che spera che a febbraio 2014 l’udienza che si terrà al tribunale di Siracusa si concluda con un rinvio a giudizio per l’infermiere professionale Giuseppe Alicata. Il contrario sarebbe seppellire il mio amato fratello 2 volte! Udienza che è già stata rinviata da Aprile e a novembre, quando ho anche dovuto assistere alla dolorosa scena del G.I.P. che chiama a deporre “Stefano Biondo”.

Stefano, un“bambino” che aveva già sofferto per via di una natura a tratti beffarda ora non c’è più. E’ stato chiuso dentro una bara da un mondo che non si ferma davanti a niente. Da un mondo convulsivo e che corre senza badare a chi, come Stefano, ha bisogno di cure. Mio fratello era un ragazzo buono, dolce e affettuoso, bellissimo, molto legato alla sua famiglia, amava le feste, le moto i treni, i gelati, il mare. Stefano era un giovane sanissimo dal punto di vista fisico, i suoi esami di laboratorio del 19/01/2011 avevano tutti i valori nella norma, appena 6 giorni prima di questa crisi e del suo tragico epilogo. Stefano è stato fino all’adolescenza un bambino speciale, ha avuto momenti di chiusura autistica e momenti in cui comunicava le sue emozioni, ha parlato e camminato tardi.

Il ritardo mentale c’era e si capiva, pur essendo di una bellezza sconvolgente, e dotato di un bel senso dell’umorismo.I problemi veri sono sorti dopo la separazione dei suoi genitori (condividevamo la mamma), coincisa con la sua pubertà. A quel punto iniziano le crisi, purtroppo non più affrontabili in casa, anche per seri motivi di salute della mamma. Nessuna struttura si è dimostrata idonea per mio fratello. Nessuna ha mai applicato un metodo e un programma terapeutico adeguato, una terapia mirata o quant’altro potesse servire per un inserimento ottimale e duraturo.

Le strutture in cui è stato ospite Stefano sono molte, ma a mio parere erano soltanto dei parcheggi, il personale non è assolutamente qualificato. Infatti Stefano, se saputo gestire, era dolcissimo, lo dimostra il fatto che con noi Stefano negli ultimi tempi non aveva crisi, o perlomeno quando doveva averle piangeva e basta, aveva bisogno di essere compreso e trattato con dolcezza. Stefano entra in TSO nel reparto di psichiatria dell’Ospedale Umberto I di Siracusa nell’agosto del 2008, dopo uno dei tanti falliti ricoveri in istituto psichiatrico. Da allora, e fino al 24 gennaio 2011, è rimasto in quel reparto: per lui si erano chiuse tutte le porte delle strutture psichiatriche di Siracusa e provincia, e solo perché durante le crisi aveva rotto qualche oggetto.

Noi come famiglia non potevamo permettere che Stefano rimasse sempre chiuso in un reparto dove giornalmente sono ricoverati i casi più gravi, quindi ci siamo dati dei turni, e con l’aiuto di un accompagnatore Stefano usciva all’ospedale quattro o cinque volte la settimana in permesso, pranzava con noi, andavamo al mare, a fare la spesa, alla stazione ferroviaria a vedere i treni che lui amava tantissimo, facevamo lunghe passeggiate alla marina, ci occupavamo della sua igiene personale. Insomma garantivamo a mio fratello ciò che era necessario, gli offrivamo un barlume di vita normale. Non ci rassegnavamo a saperlo in quel reparto.

Grazie al provvedimento della Giudice Milone del Tribunale di Siracusa, che intimava al Sindaco e ai responsabili ASP di trovare entro un mese una struttura idonea per ospitare Stefano, finalmente mio fratello viene trasferito nella comunità alloggio di Via delle Madonie a Villaggio Miano, e questo solo dopo circa quindici giorni di viaggi , con noi, in quella struttura per farlo socializzare e abituare alla sua nuova destinazione.

Mio fratello aveva dimostrato di essere contento di quella sistemazione ed era stato trasferito lì solo da un giorno, quando martedì 25 gennaio alle 17.39 mi sono sentita chiamare d’urgenza per informarmi di un’improvvisa crisi di Stefano. Giunta sul posto insieme a mio marito, ho trovato mio fratello disteso a terra, legato con un filo elettrico, chiaramente raccattato da qualche parte con urgenza, e io ho intuito immediatamente che Stefano stava molto male. L’infermiere professionale del reparto di psichiatria dell’Umberto I di Siracusa, che era presente e che era stato affiancato ad un sua collega per garantire dei turni di assistenza a Stefano, mi tranquillizzava dicendo che aveva gli aveva somministrato una dose da 100 di un indeterminato calmante, ma io che ho frequentato un corso di primo soccorso avevo intuito la gravità delle condizioni di mio fratello. Il polso era assente, e non sentendo neanche il polso carotideo ho praticato la respirazione bocca a bocca e il massaggio cardiaco, nonostante avessi la consapevolezza che mio fratello era già morto.

L’ambulanza che era arrivata non era quella attrezzata per l’emergenza del caso, non era stato comunicato il codice rosso e quindi non avevano dietro il defibrillatore. Solo dopo mezz’ora è arrivata quella con il medico, attrezzata all’emergenza. Ma era già tragicamente troppo tardi per salvare la vita al mio Stefano. (In tutto ciò l’infermiere e l’ambulanza della psichiatria arrivati dopo erano spariti). I due referti di autopsia parlano entrambi di morte per «asfissia meccanica da soffocazione causata o dalla chiusura diretta di naso e bocca o dalla compressione della gabbia toracica», come scriveva il dottor Francesco Coco, ed erano stati bloccati i polsi con un cavo. Non si stava cercando di dare alcun aiuto a mio fratello!

Un “infermiere professionale” della psichiatria dell’ospedale Umberto I di Siracusa ha attuato delle manovre errate e perseverando ha scambiato i disperati tentativi di Stefano di prendere aria, di respirare, per agitazione psicomotoria, soffocandolo! E non ha fatto nulla per rianimarlo! Né lui né le altre 4 persone presenti tra cui l’infermiera professionale della struttura L’Oasi della Speranza. Il G.I.P. Alessandra Gigli, con l’ordinanza che rigetta l’archiviazione, ha richiesto un supplemento d’indagini. Spesso fa comodo a tutti fare passare in silenzio casi come questo.Io mi sono attivata attraverso il web ed i media, affinché più persone conoscessero cosa è capitato a Stefano e non starò in silenzio finché mio fratello non avrà giustizia. Stefano ha avuto oltre alla sfortuna della sua malattia anche quella di vivere in questa città, dove questo caso e tanti altri non sono mai stati sufficientemente all’attenzione delle Autorità Sanitarie locali e regionali, dello stesso Comune.

Ho supplicato, elemosinato per anni un diritto per mio fratello, essere curato adeguatamente, e quindi un posto idoneo, mentre altri malati dalla psichiatria erano mandati nelle varie strutture ma Stefano mai! Ma adesso un posto l’hanno trovato, dove non darà più fastidio: una bara!Ho da raccontare questa dolorosissima esperienza, che non mi riporterà indietro il mio amato fratello. Sento il bisogno di dire a tutte le famiglie che hanno al loro interno un malato psichico di chiedere con forza che siano rispettati i diritti dei malati e che siano approntate le strutture necessarie, queste non sono malattie improvvise e un azienda sanitaria deve saper programmare il numero di posti per fare fronte a queste necessità.

Un malato autistico, come altri malati con patologie non curabili sono registrati ed è incomprensibile che un’Azienda Sanitaria in tanti anni non si sia adeguatamente attrezzata ad accoglierli, curarli e farli stare sufficientemente bene.

E’ forse il caso che ci poniamo degli interrogativi. E’ giusto quello che è successo a un ragazzo disabile di 21 anni, la cui morte è stata solo il culmine di un calvario tra il disinteresse generale verso la sofferenza di un bimbo, perché questo era mio fratello, e la sofferenza di una intera famiglia? Se la risposta è no, cosa intendiamo fare perché questo non accada più? Rossana La Monica – vicepresidente dell’associazione Astrea, nata in memoria di Stefano Biondo.